Palazzo Cozza Caposavi, vanta una storia di oltre 500 anni. Attualmente è la più grande collezione d'arte privata aperta al pubblico di tutta la provincia di Viterbo. Appartenente alla famiglia dei Conti Cozza Caposavi, che ha mantenuto la proprietà attraverso i secoli, il palazzo è un monumento vivente che testimonia l’eleganza e il prestigio della sua lunga eredità.
Il percorso museale vi condurrà attraverso le epoche, consentendo di esplorare stanze che hanno ospitato alcuni illustri personaggi, tra cui: Stendhal, Fellini, Marconi e Verga e accolto membri di famiglie reali europee e viaggiatori illustri. Durante la vostra visita, l’audioguida vi accompagnerà attraverso una narrativa dettagliata. La fotografia è benvenuta, ma vi chiediamo gentilmente di taggare il VesConte-Palazzo Cozza Caposavi nelle vostre pubblicazioni. Il Palazzo del Conte è un tesoro condiviso con la comunità e la vostra visita sia piena di scoperte e bellezza.
INFO Orari di visita 10,30-12.30 /15,00-18,00
Nel ‘500 tutto il territorio del viterbese era sotto la diretta influenza dei Farnese, a cui si deve la costruzione di importanti palazzi come Villa Lante a Bagnaia e Villa Farnese a Caprarola. Il palazzo Cozza Caposavi fu eretto intorno al 1561 per volere del Cardinale Tiberio Crispo, governatore dello stato pontificio a Bolsena, figlio di Silvia Ruffini, una vedova che diventò concubina di Alessandro Farnese, il futuro Papa Paolo III.
Dopo l’allontanamento del cardinale da Bolsena, il Palazzo fu diviso tra le famiglie Cozza e Caposavi e così rimase fino al 18esimo secolo, quando le due famiglie si unirono in matrimonio, riunificando i palazzi nell’originaria forma pensata dal Crispo. L’abitazione rimase così unita sino agli anni ’30 del 900, quando Nicola Cozza cedette la parte prospicente alla Rocca a Rodolfo del Drago, che già era proprietario di un edificio dismesso nel quartiere castello, "il ganarone", ereditato dai Principi Spada e che poi verrà solo agli inizi del '900 accorpato a Palazzo Cozza, divenendo l'attuale compendio denominato "del Drago". Da allora, i due edifici saranno quindi nuovamente divisi.
Il palazzo non era la sede principale della famiglia, bensì il centro nevralgico dell’amministrazione agricola e dei possedimenti tra Orvieto e Bolsena. Nonostante l’influenza e il potere che la famiglia esercitò per circa 500 anni sulla città, esprimendo figure di primo ordine nell’amministrazione della stessa, come riporta il Guidotti nei suoi scritti “ la famiglia dei conti Cozza Caposavi non ebbe mai velleità feudali sul territorio”. Infatti la donazione di Francesco Cozza alla comunità di Bolsena di circa 700 ettari di terreno, avvenne prima della riforma agraria, consentendo ai bolsenesi di alleviare le privazioni dei due conflitti mondiali.
La destinazione non prettamente residenziale del palazzo, lo ha salvato da tutti gli interventi in voga nei secoli successivi, preservando nel suo status originario sia gran parte del mobilio, sia le decorazioni che i pavimenti in cotto. Notevole caratteristica del palazzo è la collezione libraria di oltre diecimila volumi, dal Cinquecento ai giorni nostri, tra cui molte prime edizioni autografate da personaggi che sono passati nel palazzo, come Giovanni Verga o Gabriele D’Annunzio. Ci sono poi libri di viaggi, libri sul territorio, sull’araldica italiana ed europea e alcune curiosità tra cui il primo vocabolario della lingua italiana.
C’è da ricordare, infatti, che Bolsena è stata nei secoli una tappa obbligata per i viaggiatori del centro Italia. Quando l’autostrada ancora non esisteva e la via Cassia era la principale strada tra la Toscana e il Lazio, le poste e il cambio dei cavalli erano o a Bolsena o a Radicofani. Pertanto, i viaggiatori del Grand Tour, usavano passare da questo territorio ed erano spesso ospiti del palazzo. Frequentarono il palazzo le famiglie reali europee e personaggi di tutte le scienze e le arti, tra cui il Principe Carlo Ludovico di Borbone, Stendhal, Giovanni Verga, Guglielmo Marconi, Federico Fellini, due papi e molti altri ancora. Non solo: qui passa anche la via Francigena, di cui Bolsena è una delle più importanti città per via del miracolo Eucaristico.
Questo intenso via vai di personaggi illustri è perdurato fortemente sino alla prima metà del ‘900, sino a quando, con la realizzazione dell’autostrada del sole, Bolsena verrà tagliata fuori favorendo la vicina Orvieto.
Negli anni ’70 Plinio de Martiis, famoso gallerista romano, affittava ogni anno un casale di campagna della famiglia Cozza Caposavi. Al suo seguito c’erano giovani artisti che presto diventeranno famosi: Alberto Burri, Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Cy Twombly, il quale realizzò le opere intitolate “Bolsena” proprio qui. Come racconta Lorenzo Cozza Caposavi “Un giorno Plinio, non avendo i soldi per pagare l’affitto, mi propose di pagare la mensilità con un quadro di un autore americano all’epoca sconosciuto, Cy Twombly. Il quadro si chiamava Bolsena, ma anziché rappresentare il lago raffigurava una serie di scarabocchi simili a quelli di un bambino. Un po’ perplesso sia per le dimensioni dell’opera, sia per l’eccessiva astrattezza della stessa, dissi a Plinio di non preoccuparsi, e che avrebbe pagato con comodo quando sarebbe sopraggiunta la possibilità. Oggi quel quadro, che fa parte di una serie dello stesso autore, è stato battuto da Christies per 45 milioni di euro!”
Nel palazzo passò anche Balthus, che curò il restauro di alcune pareti, un tempo ricoperte da carta da parati. Il celebre artista, amico della famiglia, acquistò un castello nelle vicinanze di Bolsena, a Montecalvello, mentre era direttore dell’accademia di Francia di Villa Medici. Tolta la carta da parati, consigliò di utilizzare la medesima tecnica che stava adottando a Roma, portando alla realizzazione della fantasia che oggi si può ancora vedere nel salotto cinese, in una camera da letto detta “dell’arazzo” e nella stanza verde del Baldacchino.
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